18 gennaio 2005

UN'ALTRA BELLEZZA

Riflessioni sull'Iliade e sulla guerra oggi

Un testo molto interessante, quello che abbiamo letto in classe. Una “postilla sulla guerra”, che, come scrive l’autore, si trova proprio in fondo ad un libro, “Omero, Iliade”, che è la reinterpretazione di un monumento alla guerra.

In questa postilla Alessandro Baricco, che ha tolto dalla narrazione gli dei e ha fatto raccontare le vicende direttamente dai personaggi, si interroga sul senso che possa avere leggere l’Iliade, che parla di guerra, oggi, in un momento storico particolare in cui le vicende di guerra ci sembrano far parte della vita quotidiana, anche se indirettamente, perché in realtà nessuno di noi le ha mai vissute in prima persona. L’autore non cerca di dare una spiegazione al fatto che “ci si ritrova attratti proprio da quella [l’Iliade; si studia l’Iliade e non una fra le tante altre storie], quasi fosse una luce che detta una fuga alla tenebra di questi giorni” ma semplicemente annota i pensieri che gli sono venuti in mente lavorando per così tanto tempo su questo testo.

Uno dei suoi pensieri è la rilevanza con cui sono tramandate, in un poema scritto dai vincitori della guerra, anche i personaggi Troiani, i vinti, e le loro ragioni. Secondo Baricco i Greci hanno avuto la capacità “di essere voce dell’umanità tutta e non solo di se stessi” e, per questo, di aver tramandato “tra le righe di un monumento alla guerra la memorie di un amore ostinato per la pace”. Lo vede, lo scrittore, nel lato femminile dell’Iliade, in cui le donne, che non partecipano al combattimento, esprimono un innato desiderio di pace, incarnando “l’ipotesi ostinata e quasi clandestina di una civiltà alternativa, libera dal dovere della guerra”. E ciò che è notevole, secondo Baricco, è il fatto che “una civiltà maschilista e guerriera come quella dei Greci abbia scelto di tramandare, per sempre, la voce delle donne e il loro desiderio di pace”.

Molto concretamente, secondo lo scrittore, il lato femminile si trova nei momenti “in cui gli eroi, invece che combattere, parlano […]: sono il loro modo di rinviare il più possibile la battaglia. Sono Sherezade che si salva raccontando. La parola è l’arma con cui congelano la guerra. […] Sono tutti condannati a morte ma l’ultima sigaretta la fanno durare un’eternità: e la fumano con le parole”. Baricco pensa che “questa sorta di ritrosia dell’eroe” si coagula in Achille, che è quello che ci mette di più a scendere in battaglia, e assiste da lontano alla guerra: proprio, lui, che è l’incarnazione della guerra. “Dove più forte è il trionfo della cultura guerriera, più tenace e prolungata è l’inclinazione, femminile, alla pace”. È Achille, poi, a far venire allo scoperto il desiderio di pace che c’è in tutti gli eroi, con “il più violento e indiscutibile grido di pace che i nostri padri ci abbiano tramandato”, in cui Achille “sommo sacerdote della religione della guerra”, pronuncia parole “da donna”. Secondo Baricco in quella voce “che, sepolta sotto un monumento alla guerra, dice addio alla guerra, scegliendo la vita”, l’Iliade ci dà testimonianza di una civiltà della pace di cui i Greci non erano stati capaci, ma che “avevano intuito, e conoscevano, e perfino custodivano in un angolo segreto e protetto del loro sentire”. Probabilmente un dovere per i posteri, che saremmo noi, di fare qualcosa che loro non erano riusciti a fare, ma di cui tuttavia sentivano il bisogno, seppur nel loro “lato femminile”, un po’ la speranza che hanno i padri nei confronti dei loro figli, che possano vivere meglio di loro e riuscire dove loro si sono bloccati.

Tuttavia, dopo aver capito qual è il nostro compito, Baricco si chiede come dobbiamo fare per “costruire la pace”. Secondo lui anche in questo l’Iliade ci dà un insegnamento, questa volta “nel suo tratto più evidente e scandaloso: il suo tratto guerriero e maschile”. L’Iliade presenta “la guerra come uno sbocco quasi naturale della convivenza civile”, “canta la bellezza della guerra”; tutto, nell’Iliade, trova “nell’esperienza della guerra il momento di sua più alta aspirazione”. Questo “omaggio alla bellezza della guerra” ci ricorda che “per millenni la guerra è stata, per gli uomini, la circostanza in cui l’intensità – la bellezza – della vita si sprigionava in tutta la sua potenza e verità”; “la guerra rimetteva in movimento il mondo”. Ancora oggi, secondo Baricco, si continua a lottare, “con guerre combattute per procura attraverso i corpi di soldati professionisti […] tradendo una sostanziale incapacità e trovare un senso, nella vita, che possa fare a meno di quel momento di verità”.

Ma veniamo al desiderio di pace, e a quello che c’è da fare, concretamente, oggi, per “costruire la pace”. Per l’autore “nessun pacifismo, oggi, deve dimenticare, o negare, questa bellezza”, perché “la guerra è un inferno: ma bello. I movimenti pacifisti, oggi, dovrebbero “non tanto demonizzare all’eccesso la guerra, quanto capire che solo quando saremo capaci di un’altra bellezza potremo fare a meno di quella che da sempre la guerra ci offre. Costruire un’altra bellezza è forse l’unica strada verso una pace vera. Dimostrare di essere capaci di rischiarare la penombra dell’esistenza, senza ricorrere al fuoco della guerra”. La pace, oggi, secondo Baricco è “poco più che una convenienza politica”, “un male da evitare”, ma non “un male assoluto”. Infatti, “foderata di begli ideali”, è sempre fattibile. L’unico stimolo ad un mondo di pace è “il lavoro paziente e nascosto di milioni di piccoli artigiani che ogni giorno lavorano per suscitare un’altra bellezza, e il chiarore di luci, limpide, che non uccidono”.

Baricco conclude con un grido di speranza, perché crede che “nessuno, ormai, riuscirà più a fermare quel cammino, o a invertirne la direzione”. E ciò che ci farà portare via Achille dalla guerra non sarà la paura o l’orrore, ma “una qualche, diversa, bellezza, più accecante della sua, e infinitamente più mite”.

In sostanza Baricco, dopo un anno di lavoro sull’Iliade, ha notato il lato femminile dell’Iliade in cui i Greci, tramandandoci le voci dei vinti e quelle delle donne che cercavano la pace, ci hanno trasmesso, celata da un monumento alla guerra, la loro aspirazione che non sono riusciti a realizzare, sperando che almeno noi, i loro eredi, riusciremo a “costruire un mondo di pace”. Per quanto riguarda il “come” realizzare la pace, i Greci hanno portato all’esaltazione la “bellezza della guerra” per spingerci a trovare una “bellezza alternativa”, che ci faccia “uscire dalla penombra della quotidianità” senza ricorrere alla guerra.

Un testo interessante, come dicevo, che mi ha fatto molto riflettere. Interessante, infatti, è la domanda che Baricco si pone per cercare di capire a cosa possa servire leggere l’Iliade, oggi, quasi 3000 anni dopo che è vissuto Omero, o chi per lui l’ha scritta. E interessante è la risposta che Baricco si dà, scrivendo che sepolto sotto un monumento alla guerra come l’Iliade i Greci ci hanno tramando un forte desiderio di pace.

Quindi un primo motivo per cui questo testo mi è molto piaciuto è la ricerca di un’attualizzazione di un’opera scritta così tanto tempo fa e che può comunque darci ancora oggi degli insegnamenti, magari facendoci capire gli errori dei nostri antenati.

Per quanto riguarda il tema della guerra, io sono sempre stato contro la guerra, perché la considero semplicemente sbagliata e non ho mai creduto che, oggi come oggi, nel XXI secolo, ci sia bisogno di trovare la realizzazione facendo la guerra.

Ho trovato comunque molto bella la tesi di Baricco, per cui per troncare la guerra bisogna trovare una “bellezza” più attraente e meno violenta o pericolosa. Però molti (anche io), oggi, in un mondo dove le guerre sono combattute “per procura attraverso i corpi di soldati professionisti”, pensano che loro con la guerra non c’entrano niente e che quindi loro non hanno bisogno di trovare un’altra “bellezza”. Poi, però, mi vengono in mente quelle occasioni di “piccola guerra quotidiana”, in cui non uccidiamo nessuno ma comunque prevarichiamo gli altri, ci sentiamo superiori o più importanti. Un insulto, una risposta data male, una parolaccia, talvolta possono ferire più di una guerra, e scagli la prima pietra chi non ha mai fatto niente del genere. Quindi tutti, seguendo quello che i nostri antenati Greci avevano pensato ma non erano riusciti a mettere in pratica, e seguendo quello che, secondo me, in fondo sentiamo anche noi ma non riusciamo a mettere in pratica, dobbiamo smetterla con queste “piccole guerre quotidiane” e riuscire a trovare un’altra “bellezza” che rischiari la penombra dell’esistenza, mettendo in pratica quello che pensiamo non solo alle grandi guerre che devastano interi Paesi, mietono migliaia di vittime, coinvolgono milioni di persone, ma anche ai piccoli litigi quotidiani che, messi tutti insieme, formano una guerra enorme e hanno effetti più devastanti di tutte le altre guerre. Solo così, facendo ognuno la sua parte, anche se più piccola di quella di altri, potremo formare con tanti piccoli pezzetti di pace quotidiana un grande puzzle di pace che si ingrandirà sempre di più fino ad arrivare a coinvolgere il mondo intero, stroncando anche le guerre grandi di cui parlavo prima. Forse i Greci, nella pace sotterrata sotto l’Iliade, si riferivano alle guerre grandi, ma ce lo hanno comunicato con particolari così piccoli da volerci, forse, indicare anche il modo di costruire una pace mondiale: cominciando dal piccolo. E si potrebbe veramente cominciare dal nostro piccolo, pensando che nello stesso momento tutti gli altri stiano facendo lo stesso, e vedendo metaforicamente il globo riempirsi di piccole bandiere della pace che si uniscono e ne formano una gigante che lo avvolge completamente e unisce tutti i suoi abitanti, indipendentemente dal colore della pelle, dalle religioni, dal credo politico o dalle convinzioni personali, ma pensando che si può benissimo convivere senza necessariamente farsi la guerra, ma che si può trovare “un’altra bellezza”.

Simone Storti

simone@alocin.it