4 maggio 2005

Andromaca

Una storia di guerra

di Elena Fasiello

Vi narrerò la mia storia.

Mi chiamo Andromaca e questa che vi voglio raccontare non è una bella fiaba o qualche leggenda epica.

Porgete le orecchie dunque e ascoltate in silenzio, poiché queste mie parole non si leggono sui libri e non narrano di tempi antichi, ma della mia vita, che cammina cieca nel buio verso una meta sconosciuta. Io ho vissuto nella guerra, tra le granate e le urla straziate delle madri che perdono i figli; sinceramente a volte non so quale dei due rumori sia stato più assordante. Vivevo in Iraq, in una benestante famiglia di Baghdad. Sono una nipote di Saddam Hussein.

Da bambina mi ricordo che ero molto introversa, tratto caratteriale che conservo tutt'oggi.

Mi si poteva trovare in un angolo con una qualche bestiola tra le mani, che accarezzavo e proteggevo come fosse un tesoro. Ero molto tranquilla:la classica bambina con la faccia d'angelo.

Avevo una bambolina che chiamavo Siao May: lei era la mia unica amica.

Le altre bambine erano tutte civette e mi prendevano in giro per via dei miei vestiti costosi da signora già cresciuta, ma non me ne curavo.

Credevo che mio padre fosse il sole, forse perché ho sempre sentito la mancanza della figura paterna, dato che mio padre fu ucciso durante la Guerra del Golfo dai soldati americani.

Ora sono adulta e sposata.

Mio marito si chiamava Ettore, era molto premuroso con me. Lui mi faceva sentire protetta ed era molto coraggioso. Lavorava come uomo d'affari e viaggiava molto all'estero.Da lui ho avuto un figlio:Astianatte.

Mi sono sposata molto giovane, quando avevo 14 anni.

Io non conoscevo il volto del mio futuro sposo ed ero turbata.Temevo che i miei sogni di adolescente finissero, poiché tutti mi dicevano che il matrimonio è solo una disgrazia.

Sono stata molto fortunata:con Ettore è stato subito amore. Qui in Iraq è normale sposarsi presto, anche se io ritengo sia inopportuno e sconveniente.

E' da un anno che la guerra era cominciata:gli americani avevano invaso il nostro territorio, con la scusa di liberarci dalla dittatura e di sconfiggere i terroristi del nostro Paese. Dicevano che possedevamo armi segrete di distruzione di massa…una menzogna!

L'unica liberazione che ci hanno dato è stata la morte.

Sono convinta che la guerra sia inutile e che non risolva le divergenze riscontrate tra due civiltà diverse. Se noi abbiamo i terroristi, loro hanno le armi.

Mio marito, resosi conto della gravità della situazione, decise che era tempo che anch'egli difendesse la patria, poiché lo riteneva un dovere di ogni cittadino. Lo pregai di non andare,per amor mio del nostro bambino. Ma lui non mi diede retta, pur essendo convinto che la guerra sarebbe stata perduta. Le mie implorazioni non lo distolsero dall'intenzione. Piansi e lo abbracciai teneramente. Mi ricordo le sue mani grandi e forti che mi stringevano in una morsa mortale al cuore.

Lo vidi allontanarsi coi suoi bagagli, dall'alto delle mura del palazzo.

Il vento soffiava rabbioso e sembrava sputasse in faccia per dolore bestiale.

Solo a me sembrava sussurrasse un bisbiglio consolatore carico di leggerezza e gentilezza.

Il mio sguardo lo seguì fin dove potè, ma fu il mio cuore a non abbandonarlo.

Mi piegai piangendo sulle ginocchia, il bimbo in braccio.

Pianse Astianatte.

I giorni trascorrevano cupi e grigi.

Io continuavo a vivere con la consapevolezza che mio marito non sarebbe tornato mai più e che io, vedova, avrei cresciuto sola il figlio.

Le granate cadevano perpetuamente dal cielo, la gente moriva. Erano tempi duri, anche per me che ero ricca:tutti i domestici mi abbandonarono per scappare dalla città sotto assedio e la casa rimase vuota, colmata solo dal mio dolore. Ma io non potevo andarmene, perché attendevo e speravo nel ritorno di Ettore

 Così un giorno, mi decisi ad uscire con circospezione per procurarmi provviste e portai Astianatte con me, perché non potevo lasciarlo solo. Una donna, in mezzo alla strada, urlava e piangeva per aver perduto un figlio. Appena vide il bimbo tra le mie braccia, mi disse di renderglielo, dandomi della ladra. Impazzita alla vista del corpo scempiato di suo figlio , si era convinta che Astianatte fosse il suo bimbo. Urlò e cercò di strozzarmi per sottrarmelo. Io caddi per terra con le sue mani strette al collo. Tentai di scappare e reagire, ma io sono sempre stata debole.

Per fortuna un passante scorse la scena e svelto la agguantò e la scagliò con forza lontano da me e dal bimbo, prendendola per i capelli.

La donna, stordita dal colpo, riprese fiato.

Si guardò incredula le sporche mani assassine. Si rese conto del suo gesto e pianse.

Le lacrime le lavarono le guance dal sudiciume. Ma la sua anima rimase infangata dalla vergogna : era divenuta pazza per il dolore.

Per un po' io e il mio piccolo riuscimmo a sfamarci con un po' di pane e minestra.

Ma poi fu necessario uscire nuovamente.

La terra era disseminata di corpi privi di vita e martoriati, i sopravvissuti erano per lo più mutilati o gravemente feriti: gli americani continuavano ad attaccare senza pietà.

I mitragliatori sparavano proiettili a raffica.

Sopravvissi anche in questa occasione .

Un mese dopo giunse una lettera.

Io la aprì, pensando che mi annunciasse il ritorno prossimo di mio marito.

Quando la lessi, mi si spezzò il cuore e caddi priva di forze a terra: Ettore era morto in un agguato.

Piansi lacrime amare, maledicendo il mondo e la guerra.

Come avrei fatto a dare a mio figlio uno spirito forte, se io per prima non lo possedevo? Che destino sarebbe stato il suo, in questa terra devastata e assediata dagli invasori? Come gli avrei insegnato a porsi davanti alla vita senza un briciolo di speranza?

Dopo due mesi ho conosciuto un americano, infatuato di me, che mi ha chiesto di sposarlo in cambio di protezione e affetto.

Io, pensando al bene di mio figlio, ho acconsentito, sebbene non lo ami e sia convinta che nessuno potrà mai sostituire il mio Ettore e mi sono trasferita negli Stati Uniti.

Lui si chiama Neottolemo, viene da New York, dove la fame e la guerra non sono mai giunte né mai giungeranno. Cosi mio figlio è al sicuro, sano e salvo e forse potrà scordare gli orrori dell'infanzia e crescere con la gioia che avrei voluto io per me, della quale ho avuto solo un assaggio.

 Sebbene io sia viva non ne sono felice, perché la vita non è vita senza l'amore e io l'amore l' ho perso per sempre e mai più lo ritroverò.

Elena Fasiello

elefasi@tes.mi.it